Quella di Alvaro Bracci è la storia di un artista che, ispirato dalla sua passione per l’arte e la pittura e dal forte desiderio di volersi staccare da una societa’ che non amava, è partito giovanissimo da Roma per raggiungere il Costa Rica, dove ha trovato la sua dimensione e una seconda casa.
Ora Alvaro è un artista conosciuto e molto apprezzato nel paese, tanto che recentemente ha vinto il Premio Nazionale di Arti Visive Francisco Amighetti nella categoria bidimensionale 2021.
Alvaro ha sin dall’infanzia nutrito una spiccata passione per il disegno, ma il rispetto verso la famiglia lo ha spinto a seguire la volontà di suo padre ed iscriversi all’Istituto Tecnico Industriale Galileo Galilei di Roma.
Questo percorso gli avrebbe permesso di intraprendere una brillante carriera – magari presso le Ferrovie dello Stato, come desiderato da suo padre – e di ottenere il tanto ambito “posto fisso”.
Ad Alvaro, però, interessava altro. Infatti, al secondo piano del Galilei c’era la scuola d’arte e si rammaricava di non poter far parte di quegli studenti e di non poter fare quello che facevano loro. Dunque si sentiva costretto, soffocato da quell’ambiente impostato, soggiogato all’interno di una società dove ogni persona ambiva ad ottenere un posto di lavoro sicuro e in cui si lavorava per la pensione sin dalla giovane età.
Alvaro non si riconosceva in questo. A lui è sempre piaciuto viaggiare, intraprendere nuove avventure ed avere la possibilità di esprimersi liberamente.
Diverse opportunità lavorative che gli si sono presentate durante la sua carriera gli hanno dato la possibilità di viaggiare per il mondo. Prima di trasferirsi in Costa Rica ha vissuto per un anno in Australia. Ha esplorato il Paese e ha vissuto diverse avventure, con periodi anche molto difficili. L’Australia, però, non gli piaceva. Le persone e lo stile di vita non rispecchiavano ciò che Alvaro stava cercando, ma è comunque rimasto lì un anno perché desiderava conoscere il mondo al di fuori dell’Italia.
La sua nuova vita in Costa Rica è iniziata il 29 ottobre di 52 anni fa. Non è stata una sua scelta, è arrivato grazie a un contratto di lavoro annuale. Quando il suo professore di tecnologia al Galilei gli ha proposto questa opportunità, Alvaro non sapeva neanche dove fosse il Costa Rica. Non ne aveva mai sentito parlare. Si è informato su questo Paese così lontano dalla sua città attraverso un’enciclopedia.
Veniva descritto come un Paese così bello e ricco di paesaggi mozzafiato che Alvaro non ha potuto rifiutare quell’offerta.
Alvaro ricorda il suo arrivo in Costa Rica, verso le sette di sera, durante una serata piovosa. Delle prime giornate passate nel paese racconta della permanenza in una fattoria, dove quando è arrivato pioveva così forte che la macchina non partiva.
Abituato alla sua vita di città, nella capitale italiana, si è trovato catapultato in un mondo completamente nuovo e pieno di avventure. Nonostante la forte pioggia e il buio più totale Alvaro in quel momento si sentiva veramente felice. Si sentiva a casa. Ricorda le passeggiate a cavallo, la vegetazione tipica e la zona bananiera, uno dei paesaggi che più lo ha colpito.
In quei momenti ha realizzato che il Costa Rica era per lui una nuova casa, sia per l’aspetto naturalistico, che per la gente: ha incontrato persone con cui ha potuto stringere facilmente amicizia, sentendosi immediatamente a casa, con moltissime cose nuove da scoprire e luoghi da visitare.
Il Centro America lo ha impressionato e riempito di sensazioni forti che avevano un bisogno urgente di uscire fuori, di essere rappresentate. Non intende solo in forma figurativa, ma anche con un occhio critico. È riuscito a unire la geometria all’aspetto umano, le figure. Alvaro racconta del viaggio che ha intrapreso in Messico in macchina, passando anche per zone molto pericolose, nonostante non conoscesse la lingua spagnola. Qui ha potuto vedere cose a lui sconosciute: è rimasto impressionato dal matriarcato, dalla forza che trasmettevano le donne tenendo in braccio i loro bambini. Tutte queste immagini gli hanno permesso di incontrare il suo linguaggio artistico.
Così ha deciso di rimanere e di prolungare quel contratto annuale. “La mia mente è una mente industriale, io voglio moltiplicare tutto. Come Walter Benjamin, la riproduzione dell’opera d’arte mi ha sempre affascinato”.
Ha iniziato a lavorare in un ambito che non conosceva; non aveva mai visto una rimagliatrice, un telaio. Non conosceva il diametro del filo. È iniziato tutto come un gioco. L’industria dove lavorava è arrivata poi al punto di stabilire la moda in Costa Rica; realizzavano magliette, polo, uniformi scolastiche, finché tutti i negozi più famosi di San José erano loro clienti.
Poi, qui ha conosciuto la moglie e ha avuto due figli. Hanno aperto un’industria tessile, iniziando con un piccolo macchinario e a poco a poco sono cresciuti e sono riusciti a realizzare un’industria che avesse diversi dipartimenti: confezione, disegno… è diventata a poco a poco una fabbrica completa.
Ad un certo punto, a causa dei cambiamenti economici, ha deciso di chiuderla, anche perché l’interesse artistico è sempre stato presente, appena aveva un po’ di tempo libero andava a dipingere.
Per Alvaro, infatti, dipingere era una necessità assoluta: si obbligava a svolgere una mostra individuale all’anno, anche a discapito dell’efficienza dell’industria. Nonostante ciò, non voleva costruire una dipendenza economica esclusivamente sull’arte, poiché questo avrebbe condizionato il suo desiderio di realizzare ciò che più gli interessava. Non ha mai voluto realizzare opere che piacessero, ma è sempre stato innovativo nelle tecniche poiché ha fuso i suoi studi professionali con la sua espressione artistica.
L’attività artistica e di pittura lo hanno sempre accompagnato, sia a Roma, ma anche quando si trovava in Australia, dove è riuscito a vendere alcune delle sue opere.
La sua carriera da artista, però, è iniziata in Costa Rica, dove ha finalmente trovato il suo linguaggio artistico.
Secondo Alvaro, tutti i lavori precedenti erano solo di approccio. Nelle sue opere c’è una presenza intensa sia dei tre anni nel seminario pontificio al Vaticano, sia dei suoi studi professionali e della sua vita in America Latina.
Cosa sarebbe stato della sua vita se fosse rimasto in Italia? Non lo sa. Non sa come avrebbe superato quel mondo fatto di regole e schemi fissi. Ha preferito costruire la sua vita in un posto differente. Probabilmente, dice, se fosse rimasto in Italia il suo percorso non sarebbe stato molto differente: anche i piccoli lavori che ha realizzato prima di trasferirsi hanno sempre ricevuto un riscontro positivo.
Probabilmente avrebbe intrapreso un altro discorso artistico. Alvaro afferma che a 18 anni non si è mai sicuri di quello che si è o che si vorrebbe essere, se ci fosse chiarezza nel percorso sarebbe molto più semplice. Ha detto: “o scappo o muoio. Dunque sono scappato”. Non riusciva a visualizzare un’indipendenza totale in Italia a causa della pressione familiare. Alvaro pensa di aver preso la decisione giusta, ma rimane sempre il dubbio. Lo spirito di avventura e la perseveranza di arrivare alla fine sarebbero statigli stessi, sia in Italia che in Costa Rica.
Quando gli chiedo come si sente rispetto a Roma, la sua città natale, Alvaro mi risponde che la ama moltissimo. Ripercorre i momenti salienti della sua infanzia e adolescenza nella capitale italiana, descrivendola con malinconia e romanticismo. Le passeggiate con gli amici nel centro, la chiesa di San Giovanni Laterano dove passava moltissimo tempo da solo, a riposarsi nel parco dopo esser andato in bicicletta. Gli manca moltissimo Roma, i suoi luoghi e la luce particolare e unica che la caratterizza.
Ancora oggi, nonostante i molti anni in cui ha vissuto in Costa Rica, nella sua famiglia c’è una presenza italiana importante, sia i suoi figli che i nipoti sono fieri di avere radici italiane. “Roma corre nel mio sangue oggi come ieri e come domani”.