La storia di Virgilio Vidor è quella di una persona avventurosa che, ispirato dalla sua passione e da un forte senso di libertà, è partito giovanissimo da Fregene, nel Lazio, alla volta della Costa Rica per realizzare i suoi sogni.
Tutto è iniziato nella cornice del mito degli anni ’60, quando Virgilio era un ragazzo amante della natura e dell’ambiente; il suo sogno era quello di partire per la Costa Rica e l’idea iniziale era di creare una specie di comunità nella paradisiaca isola del Cocco, oggi parco naturale.
Alla fine, del gruppo iniziale, gli unici temerari che rimasero fedeli all’idea di partire verso la Costa Rica furono Virgilio Vidor ed il fratello Giuseppe.
I due giovani, dopo essersi informati attraverso l’Ambasciata della Costa Rica a Roma ed aver comprato un piccolo appezzamento di terreno (“finca”) a Playa Panamá (nell’attuale provincia del Guanacaste), partirono alla volta della Costa Rica nel 1972, seguiti curiosamente dai genitori che temevano, in un mondo non ancora interconnesso come oggi, di perdere i contatti con loro.
Quando chiedo a Virgilio la prima impressione avuta una volta atterrato in Costa Rica, egli risponde che ciò che gli è rimasto impresso è l’odore dell’aria tropicale e l’entusiasmo per l’inizio della nuova esperienza.
Una volta arrivati nella “finca” acquistata a Playa Panamá, i Vidor si dovettero adattare alla situazione: l’abitazione era “molto alla buona”, non v’era elettricità, per approvvigionarsi d’acqua v’era un pozzo e le posate furono fabbricate da loro stessi con del legno.
Ad ogni modo, il piano era chiaro fin dall’inizio: si puntava sull’uva e sul vino, una tradizione che per i Vidor risaliva alle origini di Fiorenzo, padre di Virgilio, il quale proveniva dalla zona del prosecco, nello specifico da Col San Martino in provincia di Treviso.
Una volta arrivate le piante dall’Italia, nonostante qualche piccolo problema alla dogana, esse furono subito piantate a Playa Panamá e, visto che non v’era la possibilità di disporre di un impianto d’irrigamento moderno, all’inizio furono irrigate, faticosamente, con dei secchi d’acqua dal pozzo. Alla fine, però, i Vidor riuscirono a installare una piccola vigna.
Una volta prodotta l’uva, Virgilio ed il fratello si presentarono con alcuni grappoli dal Ministro dell’Agricoltura dell’epoca, e la presentazione riscosse talmente tanto successo che tutti i giornali locali iniziarono a parlare dell’attività di questi giovani avventurosi italiani.
2. Il progetto durò alcuni anni, fino a che non si scoprì la presenza endemica di un batterio terribile per l’uva italiana (Vitis Vinifera): la xylella fastidiosa. Fu a questo punto che Virgilio trasse ispirazione per una nuova idea: per riuscire a rendere le vigne resistenti alla xylella pensò di creare e fondare una nuova viticoltura tropicale che non esisteva prima e che, tuttora, si trova solo nel suo attuale giardino-laboratorio a San José.
Virgilio spiega che l’uva nostrana nei tropici si può produrre, laddove la xylella non esiste o attacca meno, però ha delle caratteristiche fisiologiche differenti, presenta dei problemi tecnici ed inoltre, è difficile riuscire a creare un vino con la qualità originale delle nostre uve.
Dunque, Virgilio spiega, per creare una cosa reale e funzionale bisognava riuscire a fare un qualcosa di totalmente nuovo ed autoctono: così come in Italia l’uva è parte della storia, della cultura e dell’ambiente, allo stesso modo l’obiettivo era riuscire a creare un’uva tropicale vera, non un’uva europea adattata. Un’uva nata e integrata in un nuovo territorio, ambiente e cultura.
Si trattava di una strada difficile, quasi impossibile, ma la tenacia di Virgilio lo ha spinto a provarci e, nonostante mille difficoltà burocratiche, tecniche e di altro tipo, è riuscito a farcela. Oggi é uno scienziato autodidatta, creatore di nuove uve geneticamente tropicali.
Virgilio per raggiungere il suo obiettivo è partito dall’ibridazione tra l’uva selvatica tropicale locale (che non trasmette odori e sapori strani all’ibrido) e l’uva italiana. E così è iniziata la sua vera avventura.
3. Nel 1982, però, varie circostanze della vita hanno portato Virgilio a tornare in Italia, dove ha iniziato a lavorare come consulente per la Societá Cooptecnital, agenzia della cooperazione estera della Lega delle cooperative italiane. In questo nuovo ruolo di consulente, Virgilio ebbe l’opportunità di dirigere un progetto in Nicaragua per conto dell’Unione Europea.
L’esperienza maturata permise a Virgilio di lavorare come consulente e capo progetto con la cooperazione internazionale fino al 2016 (con la UE ed infine con l’IDB) in progetti di sviluppo rurale eseguiti principalmente in Honduras, Nicaragua e Costa Rica.
Durante questo periodo, però, Virgilio non ha mai abbandonato il suo obiettivo originario e, quindi, durante tutti questi viaggi si portava dietro i suoi ibridi e ovunque andava sperimentava l’uva.
Oggi, spiega Virgilio, il suo “giardino-laboratorio” presenta la più grande diversità di varietà di uva del mondo a livello tropicale e conta più di 800 tipi differenti di uva. Ovviamente non tutti questi tipi sono buoni ed anzi, Virgilio spiega che il processo è molto complicato e per sapere se l’ibrido è venuto fuori bene o meno, bisogna attendere circa 10 anni. Nonostante l’attesa, però, Virgilio racconta che la gioia che prova con la buona riuscita di un ibrido è incredibile. É come avere un figlio…
Per rendersi conto della rarità dell’impresa basti pensare che, in 50 anni di lavoro, Virgilio racconta di essere riuscito a tirar fuori solo una ventina di buoni ibridi su circa 5 milioni di piante sperimentate.
4. Virgilio, poi, specifica che l’impresa non è stata quella di “adattare” l’uva non tropicale ai tropici, quella l’avevano giá fatta in molti, ma la specificità sta proprio nel fatto che si tratta di una nuova uva: l’uva geneticamente e fisiologicamente tropicale, la quale al tropico funziona come l’uva nostrana funziona in Italia.
Il suo sogno attualmente è quello di lasciare in eredità il suo progetto ad una fondazione senza fini di lucro che riesca a sostenersi. Collabora con vari centri internazionali di studi viti-vinicoli.
Alla fine, parlando dell’ Italia, Virgilio racconta che gli manca e che, nonostante i tanti anni all’estero, si sente profondamente italiano e di cultura mediterranea.
La sua attività ed i suoi successi, tra l’altro, gli hanno permesso, nel 2019, di essere insignito dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica.
Alla mia richiesta di commentare questo grande traguardo, Virgilio si è emozionato ed è emerso più che mai un grande senso di orgoglio e riconoscenza, difficile da nascondere.